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“Nazionalismo vs europeismo” e il gran caos valdostano – L’editoriale di Giuseppe Manuel Cipollone

di Redazione

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Si dia merito a Tiziana Balma nota insegnante di Arnad, per aver sollevato, anche se implicitamente, – in un editoriale uscito stamane sull’organo di stampa unionista dal titolo “La vision rétrograde de l’Europe du futur de Salvini et Meloni” – un tema capitale per la nostra regione nei prossimi 30 anni: il rapporto fra Valle d’Aosta, Stato e Unione Europea. Gliene si dia merito perché è un tema, questo, che spesso viene sorvolato per pigrizia, incapacità nel dare risposte e forse opportunismo.

I meriti però finiscono qui, se non altro perché la tesi che viene proposta, in merito alla firma della “carta dei valori”, pare un conglomerato di slogan e luoghi comuni la cui profondità di analisi è pari a quella di una pozzanghera. La posta in palio per la nostra regione è troppo importante per lasciare che la riflessione venga monopolizzata da chi divide la realtà in categorie troppo rigide, i personaggi in buoni e cattivi, lo scenario politico valdostano in europeisti e nazionalisti.

Perché il rischio molto concreto è che, in nome di un mai sopito e comprensibile antirisorgimentalismo, si vada a consegnare le chiavi delle prerogative del comunitarismo valdostano ad un nuovo leviatano burocratico di livello europeo, solo molto più grosso, intangibile e minaccioso di quello nazionale. E se vogliamo dircela tutta le contingenze regionali degli ultimi decenni sono persino lì a darci un monito.

Ci potremmo per esempio chiedere se l’Autonomia, le finanze e il benessere dei cittadini valdostani siano in una condizione di salute migliore o peggiore dall’avvento dell’Unione Europea, o meglio di QUESTA Unione Europea. Ci potremmo chiedere, a titolo di altro esempio, se la caduta così rapida e sconcertante della nostra regione sia figlia solo degli indubbi demeriti della politica locale, di un incontrollabile e rinascente centralismo “nazionalista”, oppure se – per paradosso – un ruolo non indifferente lo stia avendo proprio il declino del ruolo strategico di “terra doganale” che il confine “rigido” in qualche modo garantiva alla Valle. Ci si potrebbe anche chiedere quali garanzie giuridiche esistano, nero su bianco, ad oggi, per tutelare l’autodeterminazione del popolo valdostano a livello nazionale e quali a livello europeo. Perché è evidente che una garanzia costituzionale forse non è ciò che un massimalista indipendentista desidererebbe davvero, forse storicamente si sarebbe voluto qualcosa in più, come un accordo internazionale sul modello sudtirolese. Ma un dato empirico oggi lo abbiamo: lo Stato italiano una autonomia, per quanto più che criticabile, alla Valle d’Aosta la garantisce, mentre a livello europeo, per la nostra regione, cosa c’è di tangibile?

Va a finire persino che il declino dell’Autonomia valdostana, riconosciuta dalla Costituzione italiana, sia anche frutto del declassamento della Costituzione stessa al rango di mero “statuto” organico ad un altro Superstato di dimensione continentale. E non credo si faccia peccato all’Autonomia se, per un attimo, si mette da parte un certo messianismo ideologico e al contrario si assume un atteggiamento un po’ più pragmatico. Chi è onesto intellettualmente lo sa: oggi non abbiamo motivi validi per escludere a priori l’eventualità che, se per il piccolo popolo della Valle d’Aosta è stato difficile affermare la propria esistenza in uno Stato di 60 milioni di cittadini, ciò non sarà a maggior ragione arduo in una mega entità di 500 milioni di cittadini nella quale la Valle rischia davvero di sparire dai radar.

Insomma, domande ce ne sono molte, risposte invece no. E sarebbe cosa buona e giusta iniziare a riunire le migliori menti del panorama regionale, a prescindere da alcuni schieramenti, per provare a tracciare un futuro percorribile per questa regione che rischia di affrontare un vero purgatorio. E possibilmente farlo prima di dividere il mondo in due – questo sì vero marxismo –, prima di citare Proudhon, il federalismo e le libertà dei popoli un po’ a casaccio. Proudhon non lo si tiri per la giacchetta più di quello che già non è stato fatto e se lo si fa, lo si faccia per intero. In fondo il modello più affine al proudhonismo fu la Svizzera e non mi pare che la Svizzera abbia aderito all’UE… anzi.