Gli echi della polemica sul lutto nazionale concesso per la morte di Silvio Berlusconi non potevano non trascinarsi anche in Consiglio Valle, con la componente di Valle d’Aosta Aperta dentro il PCP che alza il tiro contro il governo regionale per il minuto di silenzio concesso in omaggio al Cavaliere. Così Erika Guichardaz è uscita dall’aula e Valle d’Aosta Aperta ha tuonato contro la “tragica decadenza della politica valdostana”.
Permetteteci di dire anche a nome di chi, come il sottoscritto, non lo ha mai votato, che quello che sta avvenendo alla figura di Silvio Berlusconi, l’indulgenza plenaria di popolo che si è vista in P.za Duomo a Milano, è forse un atto di onestà intellettuale collettiva nei confronti di un uomo che è stato arci italianissimo, nelle pieghe migliori e peggiori che questa parola assume. Quella piazza, ma anche il commiato silenzioso che si è respirato, è stato l’omaggio di chi ha riconosciuto che un po’ di Silvio è dentro ognuno di noi, condannare lui vuol dire condannare anche un pezzetto di noi stessi. Tutti compresi.
Anche chi per tanti anni lo ha avversato, trasformadolo in un idolo espressione di tutti i mali, non ha che esorcizzato così il Silvio dentro di sé, il proprio Silvio represso e dunque livoroso e pieno di rabbia. Per questo oggi, con un po’ di coraggio, dovremmo gaurdarci in faccia e dire: chi non è, almeno un po’, Silvio Berlusconi scagli la prima pietra.
Berlusconi specchio uguale e contrario di un Paese
Berlusconi a modo suo è stato un eroe o antieroe, a seconda dei punti di vista, di una stessa identica radice nazionalpopolare. Ogni popolo, proprio come un essere umano, compensa le proprie debolezze con la creazione di alter ego uguali e contrari a sé, alla propria più intima essenza. Prendiamo gli inglesi, ad esempio, un vero popolo di estrazione celtico-vichinga, razziatore, colonizzatore e ferino per essenza. Sarà un caso che proprio loro abbiano sviluppato, per ipercompensazione, un’idea di raffinatezza così rigida, un attaccamento ad un ideale di regalità e aristrocrazia a tratti persino posticcia, tutta formalità da ora del té inglese. Forse no.
O i francesi, il popolo più intimamente cattolico nel senso più alto e spirituale del termine: è un caso che proprio loro abbiano dato la luce alle forme ereticali più estreme o, in età moderna, al più ostile degli illuminismi, al razionalismo come nuova fede ed al più agguerrito anticlericalismo che l’Europa abbia mai conosciuto? Chissà, persino la “grandeur” imperiale, decisamente autoreferenziale, è sintomo di un rapporto non risolto con una certa genialità dei vicini italici e l’impressionante fertilità e laboriosità di chi noi abbiamo uso chiamare tedeschi.
Così anche noi italiani abbiamo il nostro Mr. Hyde. Il non popolo per eccellenza, almeno in senso moderno, la terra dei mille campanili e delle mille lingue: l’anarchia vera e non ideologizzata in Europa occidentale non la si respira che in Italia. Qui si apre la porta come ad un fratello ad ogni viandante, come Chiesa cattolica insegna, ma non è chiaro se si farebbe lo stesso per il paesano che abita il villaggio vicino a 300 metri in linea d’aria.
Noi popolo delle gens e delle famiglie, dove la faida – per lunghi secoli – è stata la pietra angolare del diritto nei feudi e nei liberi comuni. Ecco sarà un caso che proprio qui si sia inventato lo Stato etico – al motto “tutto è nello Stato e nulla è fuori da esso” – i cui riflessi sono ancora tutti dentro all’ordinamento repubblicano ed anzi, a volte, viene il sospetto che sia la concezione stessa che le istituzioni hanno ancora di sé. Il nostro alter ego è l’idea di uno Stato totalizzante, la burocrazia come manifestazione di uno Stato etico sempre e solo sulla carta. E quante volte, ognuno di noi, si è sentito vittima di questa macchiana infernale che chiamiamo burocrazia. Sia dentro che fuori le istituzioni.
La genialità di Berlusconi è stata la narrativa di un arci italiano, con pregi e vizi popolarissimi, partito da poco e arrivato al vertice. Un self-made man in salsa italica che dallo Stato, non riuscendoci, ha provato da rappresentare un “contrordine”. Perché è vero che l’evasione o l’elusione fiscale è odiosa, è odiosa se diventa delocalizzazione per massimizzare i profitti e le speculazioni rapaci a danno delle comunità.
Ma anche l’evasione diventa un concetto molto più incerto se sei un piccolo produttore – e non Amazon – e devi scegliere se pagare le tasse o lo stipendio ad un dipendente, se devi decidere se far vivere bene la tua famiglia o alimentare quella voragine che è diventata lo Stato e l’apparato pubblico. Diventa un concetto più incerto se ti trovi in uno Stato in cui persino i commercialisti non sanno più con sicurezza quante e quali siano le tasse da pagare e, per questo, tutti potenzialmente potremmo trovarci evasori anche in buona fede. Ancora più incerto il concetto di evasione lo è, se ti trovi ad aver immolato la tua vita a lavoro, sei diventato un piccolo risparmiatore, e lo Stato si mangia in boccone tutto il tuo sacrificio, con tasse sulla successione e sulla casa che attaccano l’unica vera istituzione profonda di questo paese: la famiglia.
L’anomalia tutta italiana è che questa faglia non è assolutamente ricalcabile sul modello imprenditori/operai, i piccoli risparmiatori qui sono anche e soprattutto operai qualificati, dipendenti, artigiani e professionisti. Tutti alle prese col capire come sopravvivere alla prossima legge “anti-evasione e spazza corrotti” che aumenterà la coscienza sporca di questo Paese. O almeno la percezione di essa.
Ecco il Berlusconi a cui il Paese ha riconosciuto l’indulgenza e per cui, in parte, ha pianto. Il Paese che per onestà intellettuale ha riconosciuto che Berlusconi era il vero Presidente della Repubblica, di una Repubblica particolarissima. E che a questa Repubblica era anche riuscito a dare un ruolo internazionale che oggi non ha di nuovo più.
L’indulgenza plenaria non era solo per Silvio Berlusconi, era soprattutto a noi stessi in un certo modo. Perché ognuno di noi ha il proprio grande o piccolo conflitto d’interesse, anche loro, i più grandi farisei del sinedrio. E chi non lo ha, lo avrà alla prima occasione utile. Il funerale era anche alla Seconda Repubblica che ci ha accompagnato quotidianamente e se ne va con lui.
Ora che, attraverso quella solennità, abbiamo omaggiato i nostri atti di buona volontà e esorcizzato i nostri peccati collettivi degli ultimi 30 anni, siamo in fondo un po’ più sereni per ripartire con il walzer e la Terza Repubblica. Come sempre e da sempre, guelfi e ghibellini, preti e massoni, liberali e socialisti, cattolici e atei, santi e furboni, poeti e cantori, tutti con una sola cosa in comune: teniamo famiglia e nessuno potrà cambiare ciò senza che venga percepito come un segreto nemico pubblico.
Giuseppe Manuel Cipollone