La coperta è corta, anzi cortissima. E’ l’unico elemento certo nel rebus delle case popolari, che sconta gli effetti di una tempesta perfetta: un patrimonio edilizio generalmente in decadenza e negli anni parzialmente dismesso, la carenza di fondi pubblici, la pressione in aumento delle richieste sociali, il boom del costo dell’energia e una normativa – per molti versi – vecchia e controversa.
I segnali dell’allarme sono stati lanciati da tempo, gli sfratti dalle case popolari stanno assumendo proporzioni – in vista – preoccupanti. Ma la politica, salvo qualche proclama, ancora sonnecchia o forse non sa davvero da dove partire per mettere mano alla situazione.A evidenziare le criticità la stessa Clotilde Forcellati, assessore alle politiche sociali del comune di Aosta, che in un lungo articolo uscito su Aostasera il 22 febbraio scorso citava i dati delle procedure di decadenza dell’ultimo triennio. Le pratiche aperte sarebbero state ben 181, di cui 19 eseguite. Il dato era citato, ad onor del vero, per sottolineare una certa “inerzia” nell’eseguire gli sfratti, segno di una tacita indulgenza dell’amministrazione su un tema così delicato.
Ma il dato è già vecchio, da ieri mattina – 4 aprile 2023 – infatti gli sfratti eseguiti sono diventati 20, perché un nuovo caso di sgombero forzoso si è registrato al Quartiere Cogne di Aosta. A subirlo una signora over 60enne a bassissimo reddito.
Il caso
E’ di ieri l’ultimo caso di sgombero forzoso, avvenuto al Quartiere Cogne. Alle 09:00 di mattina, puntuali, i tecnici Arer, i messi comunali, i vigili urbani e il fabbro erano alla porta dell’appartamento da sgomberare e – in assenza dell’assegnataria – hanno semplicemente forzato la porta e cambiato la serratura.
Però, puntuali, all’appuntamento c’eravamo anche noi di AostaNews24.
Le ragioni di Arer
La questione delle case popolari è oramai un rebus complesso, che contrappone esigenze sociali a quelle di tutela e salvaguardia degli enti di gestione, in cui non sempre è possibile tracciare delle responsabilità precise o soluzioni a portata di mano. Così Arer, dal canto suo, sul caso ribadisce la piena legittimità della propria azione, che sarebbe solo l’esito di un lungo iter amministrativo i cui podromi risalgono al 2019.
La dott. Bosco, dirigente Arer, evidenzia: “si tratta di un nucleo familiare che da molto tempo presenta delle criticità, a cui è stata data la possibilità di regolarizzare la propria posizione attraverso due piani di rientro tarati sulla propria capacità economica. Tuttavia, quando i piani di rientro non vengono rispettati oltre 12 mensilità, questi vengono fatti decadere”.
E poi aggiunge: “la signora è stata avvisata prima – circa un anno fa – che esistevano degli insoluti, poi è decaduto il piano di rientro, successivamente le è stato notificato l’avviso di saldo pena l’avvio della decadenza. Non abbiamo avuto seguito dall’interessata, pertanto il caso è finito in commissione politiche abitative. Di qui la dichiarazione di decadenza dell’assegnazione, da cui sono scattati 90 giorni per lasciare l’abitazione, terminati alla fine di gennaio. Solo ad ora, inizio aprile 2023, abbiamo dato esecuzione ad un iter la cui prima notifica risale a più di un anno fa”.
Sullo sfondo anche la difficoltà per l’ente di scindere situazioni poco chiare dalle reali situazioni di disagio, con il rischio più che reale di “tollerare” assegnazioni non del tutto giustificate e poi colpire duramente nuclei realmente fragili.
Case popolari e sfratti: bomba sociale in vista?
La patata non potrebbe essere più bollente per il governo regionale e gli strumenti messi in campo dall’amministrazione sono al momento inadeguati. Se infatti gli sfratti eseguiti appaiono ancora relativamente pochi, la mole di procedure aperte è ampia, indice di una probabile impennata futura degli sgomberi forzosi. Le liste lunghe di centinaia di casi in attesa dell’alloggio pubblico, poi, segnano un latente conflitto fra poveri a cui è necessario porre rimedio.
I limiti della legge 3/2013 sono manifesti e anche strumenti come il fondo per la morosità incolpevole non rispondono alle nuove esigenze. I casi che riescono a farvi accesso sono risicati, per ammissione della stessa Arer. Se il legislatore aveva immaginato il caso in cui – a fronte della perdita improvvisa del lavoro – un nucleo famigliare aveva una perdita netta di reddito, inserendo ciò come criterio di accesso, molto maggiori sembrano i casi di famiglie che a fronte di guadagni inalterati faticano a coprire i costi dell’energia e delle spese condominiali esplosi negli ultimi anni. Questi ultimi sono, in effetti, erogati da Arer in modo flat/a consumo nei canoni, in base alle fatture ricevute dai fornitori, e non secondo il criterio Isee come per i canoni d’affitto.
Se a questo si aggiunge lo scontro che sta avvenendo intorno al teleriscaldamento, con vari condomini di residenza pubblica collegati al riscaldamento centralizzato dall’amministrazione, la bomba sociale è forse davvero dietro l’angolo. Per gli assegnatari collegati centralmente, in effetti, è più difficile ponderare opzioni alternative di riscaldamento, eventualmente più economiche.
Molti anziani e nuclei fragili hanno letteralmente staccato il riscaldamento in casa, passando tutto l’inverno scorso al freddo pur di non vedersi bollette pazze arrivare. Altri invece sono finiti in morosità.
La risposta della politica
In questo quadro per nulla rassicurante, la politica pare ancora una volta procedere per passi lenti. La Lega VdA dalla minoranza ha presentato un’iniziativa – ancora da discutere in Consiglio Valle – in cui chiede una modifica dell’accesso alla morosità incolpevole e la subordinazione, anche per il calcolo delle spese, all’Isee dell’assegnatario dell’alloggio pubblico.
Dal canto suo, il nuovo assessore alle politiche sociali, Carlo Marzi, ha annunciato in Consiglio Valle la sospensione degli sgomberi forzosi già notificati a carico dei nuclei famigliari che “mostrano problematiche sociali”. Un primo tentativo di risposta, forse timido, dell’esecutivo regionale al problema, sulla quale però al momento non è possibile stabilire con certezza le dinamiche di scala del “salvacondotto”, né quanti nuclei potranno effettivamente beneficiare della sospensione. Un cerotto su una ferita da granata, probabilmente.
E se, da un lato, la politica si interroga sul a farsi, una domanda rimane insoluta: non è che il problema – giunto a noi da lontano e da dismissioni improvvide – è che il parco immobili destinato alle case popolari sia insufficente?
Giuseppe Manuel Cipollone