Ci sono tragedie, episodi di cronaca nera, che entrano nel cuore della coscienza nazionale e la lacerano inesorabilmente. E’ il caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, la giovane laureanda straziata a coltellate dall’ossessivo ex fidanzato Filippo Turetta. Episodi emblematici che diventano simboli e in quanto tali destinati a divenire terreno di discussione.
Il terribile caso di Giulia, stamane, è arrivato anche in Consiglio Valle, con l’inevitabile portato politico che ciò comporta. Perché se il cordoglio è unanime, altrettanto non si può dire sulle ragioni e la cause a cui ognuno imputa casi drammatici come questo. Così se per Chiara Minelli (PCP) e Andrea Padovani (FP-PD) quello della violenza sulle donne è “una strage indegna di un paese civile” figlia della mascolinità tossica e della cultura maschilista e patriarcale, per i leghisti Andrea Manfrin e Luca Distort le ragioni profonde sono da ricercare altrove.
“L’idea che gli uomini siano tutti dei potenziali criminali, degli stupratori, degli assassini come avanzato da una certa idea tornata alla ribalta in questi ultimi giorni” è sbagliata per Manfrin, secondo cui siamo di fronte ad un problema più complesso che deve essere preso in carico dalle famiglie.
Posizione echeggiata anche da Luca Distort (Lega): “il peccato originale sta nel fatto che il maschio violento è un maschio principalmente viziato, che non è stato educato e formato a gestire i ‘NO’. Il maschio viziato è arrogante perché è debole e reagisce, quindi, con violenza: non è figlio di una società patriarcale che ha dato, invece, intere generazioni di uomini forti e stabili”.
Difficile, tremendamente difficile, rintracciare le ragioni ultime del fenomeno della violenza domestica, della violenza e degli assassini di un uomo contro una donna. Ma sul banco degli imputati è già finito il colpevole: il patriarcato e gli uomini affetti da questa arcaica malattia collettiva. E poco male che, di giorno in giorno, di Giulia e della sua terribile tragedia si parli sempre meno e sempre più del patriarcato e della lotta tutta politica che le fazioni militanti ne fanno.
Cinquantacinque omicidi contro ex mogli e ex fidanzate da inizio anno, un numero disarmante. Non sta certo a noi spiegare un fenomeno a tal punto complesso: giovani incapaci di accettare dei no, viziati da mamme iper protettive, pornografia degradante e abnorme a stoccaggio di massa. Chissà, forse tutto assieme. Però ci sentiamo di ricordare che per ogni uomo assassino ci sono – in proporzione – decine o centinaia di migliaia di uomini per bene. Onesti mariti, fidanzati, compagni e – soprattutto – padri, vittime anch’essi di una bestialità come quella avvenuta contro Giulia.
Un piccolo monito che non vuole sminuire quanto avvenuto, né sviare su tutti gli utili e necessari strumenti di prevenzione legale e di deterrenza contro le violenze. Bisogna però ricordare che se la violenza diventa davvero di genere, anche il reato successivo e la colpa – in qualche modo – lo saranno. E se non ricordo male uno Stato si può definire liberaldemocratico se non esistono colpevoli “collettivi”, ma solo individuali e solo oltre ogni ragionevole dubbio. Nemmeno gli uomini, dunque, come genere, lo potranno essere colpevoli. Anche se solo nel dibattito pubblico.
Quindi sì, questo pomeggio tutti al flash mob all’Arco d’Augusto in ricordo di Giulia e contro la violenza sulle donne. Però – come ha detto Giuseppe Cruciani a ‘La Zanzara’ – tenendo bene a mente: sono un uomo e “non mi sento colpevole”, perché l’omicidio non l’ho commesso io. Forse è un’ovvietà, ma di questi tempi è meglio ricordarlo.
Giuseppe Manuel Cipollone