Venerdì 25 agosto si è svolto, presso la cantina Joseph Vaudan dell’Institut Agricole Régional, il primo incontro tecnico-degustativo delle nuove varietà di viti resistenti targate FEM-CIVIT. Tanto pubblico presente composto da professionisti del settore vitivinicolo valdostano e non solo.


I vitigni resistenti o Piwi, acronimo del nome tedesco ‘Pilzwiderstandfähig’ sono nati già nella prima metà del 1800, come incroci semplici tra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis. Attraverso continui reincroci, si sono ottenute varietà costituite per oltre il 90% da DNA Vitis vinifera che assomigliano sempre più ai tradizionali vitigni, ma con vari gradi di resistenza alle principali malattie della vite: peronospora, oidio e botrite.
Dopo i saluti iniziali del direttore della sperimentazione dell’Institut Agricole Régional, Mauro Bassignana, il responsabile dell’unità di ricerca Viticoltura-Enologia dello IAR, Patrick Ronzani, ha invitato tutti a “riflettere su quali sono gli obiettivi imposti dalla Comunità Europea in agricoltura da qua al 2050: sostenibilità ambientale, riduzione dell’uso di fitofarmaci, riduzione del consumo di suolo, riduzione di emissioni di gas serra. Per raggiungere tali obiettivi – ha aggiunto – è necessario trovare delle alternative: combinando la resistenza e la qualità del vino si cerca di produrre nuove varietà innovative e perfette per affrontare le sfide future in vigna”.
Inoltre, ha poi ricordato “la necessità di ricercare strategie di convivenza tra cittadini e viticoltura. La vicinanza delle abitazioni ai vigneti e il necessario utilizzo di fitofarmaci possono creare problemi, ecco che una fascia di rispetto con piante resistenti, che richiedono meno trattamenti, potrebbe essere la soluzione del problema”.
L’Institut Agricole Régional ha nei suoi compiti istituzionali la sperimentazione e nel vigneto sperimentale ‘Hospice’ ha in osservazione diverse varietà resistenti, sia di FEM-CIVIT sia di altri centri di ricerca italiani e stranieri.
Odoardo Zecca, ricercatore dell’unità di ricerca di Viticoltura-Enologia dello IAR, ha portato a conoscenza del pubblico le finalità dei Piwi e i possibili vantaggi che gli stessi possono portare alla viticoltura valdostana in particolare, per le sue peculiari specificità. Dopo una descrizione della metodologia sperimentale adottata, dei progetti in corso e di quelli che verranno attivati nel prossimo futuro, ha effettuato una panoramica dei risultati ottenuti ad oggi (in primis l’assenza di qualsiasi sintomo di malattia sulle varietà in osservazione), con particolare riguardo per quelle FEM-CIVIT.
“Grazie agli ottimi risultati ottenuti – ha informato -, nel breve periodo verrà richiesta agli uffici di competenza della Regione Autonoma Valle d’Aosta l’autorizzazione alla coltivazione di una buona parte delle varietà che hanno concluso i tre anni di sperimentazione”.
L’ultimo intervento della mattinata sullo stato dell’arte dei vitigni resistenti di FEM-CIVIT è stato condotto da Marco Stefanini, responsabile dell’unità ‘Genetica e miglioramento genetico della vite’ della Fondazione Edmund Mach.
Dopo aver passato in rassegna la storia del miglioramento genetico della vite, in Europa e in Italia, Stefanini si è soffermato sulle attività volte alla creazione di nuove varietà condotte con la sua équipe presso il centro di ricerca FEM.
FEM, infatti, studia gli incroci tra le varietà di Vitis vinifera più conosciute al fine di ottenere genotipi resistenti e anche interessanti dal punto di vista agronomico ed enologico: “le varietà resistenti iscritte al Registro Nazionale sono attualmente 36, suddivise equamente in 18 a bacca rossa e 18 a bacca bianca. Gli ettari impiantati a livello nazionale, stimati in base alle barbatelle prodotte e vendute, sono circa 840: un mercato pertanto ancora piccolo, ma in continua evoluzione”.
Al termine degli interventi, il pubblico è stato invitato a una degustazione di 10 vini microvinificati dalla Fondazione Edmund Mach provenienti da uve Piwi.