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Valle d’Aosta in stato di liquidazione: che fare se l’Autonomia non basta più?

di Redazione

di Redazione

C’era una volta la Valle d’Aosta, piccola e ridente terra di montagna modello di buon governo. Certo il passato si tende ad idealizzarlo sempre un po’, ma è anche vero che una tale crisi di sistema della governance di questa regione non si era mai vista nell’epoca post bellica. 

Non si vuole fare facile demagogia, che pure verrebbe spontanea, però se si guarda per sommi capi lo stato dei “fondamentali” sociali, politici e economici regionali non si può che vedere come neanche uno di questi goda di ottima salute. Si passa dalle criticità – se non emergenze – conclamate, agli scenari di grave preoccupazione futura. 

Vedasi, ad esempio, la sanità sulla quale non è il caso di infierire per carità di patria. Tra carenze e fughe di personale croniche – da sempre costeggiate da polemiche sui metodi di selezione -, interventi e accertamenti sospesi, dilemmi esistenziali decennali sulla struttura ospedaliera, pendolari sanitari in rotta verso Piemonte e Lombardia e la medicina territoriale pressoché azzerata, davvero si fa fatica a dire se qualcosa stia funzionando. E Barmasse pare un martire inchiodato ad un assessorato che tutti vogliono evitare come la peste.

Ma si può sinceramente dire molto meglio dei trasporti? Chiedere a chi è costretto a frequentare l’autostrada. O peggio ancora sarebbe chiedersi il destino del Traforo del Monte Bianco quando il commercio in direzione francese potrà godere della TAV.

Oppure il dossier ancora aperto del trattamento retributivo e previdenziale del Corpo forestale e dei Vigili fuoco, dove pare che per molti – l’Autonomia regionale – sia diventata una trappola a cui sfuggire e non un ombrello sotto cui ripararsi.

O ancora il settore dell’energia, con l’incognita dei rinnovi delle concessioni. Ma anche l’istruzione coi ricorrenti problemi intestini e un futuro che si preannuncia di scuole senza bambini, segnata da una Università che rischia di diventare un mausoleo se oggi – e non domani – non si darà sviluppo ad un potente piano di ristrutturazione dell’offerta didattica, dell’urbanistica del capoluogo e di comunicazione per l’attratività degli studenti.

Quale futuro per la Petite Patrie con la spada di damocle delle casse vuote, della denatalità e dello spopolamento della montagna come mannaia per una terra alpina con sempre meno “montagnard”. Un elemento che senz’altro si rifletterà sull’agricoltura.  

Titaniche sono le sfide che la Valle d’Aosta ha di fronte, al punto che non si può non percepire una sorta di stato di resa dell’amministrazione, della burocrazia e della politica. Una resa che si vede tutti i giorni quando la politica, appunto, ripiega in meri giochi di palazzo perché non le è rimasto altro da fare per giustificare la propria esistenza. Tanti e tali sono i problemi, figli di una malagestio, di una Europa più matrigna che madre e uno Stato italiano alieno, che paiono inaffrontabili.

Ma a questo stato di cose non ci si può arrendere. E se da una parte non si sa davvero come se ne uscirà, dall’altra è anche vero che tempi molto fortunati hanno creato uomini deboli e decadenti. Uomini deboli portano tempi difficili. Ma i tempi difficili portano sempre uomini di nuovo forti. 

Ed oggi abbiamo davvero bisogno di donne e uomini forti per rimettere dritta la barra di una nave che sta dando tutti i segnali di colare a picco.

Giuseppe Manuel Cipollone