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BLOG – Il vero prezzo degli alimenti – di ELENA MARCOZ

di Redazione

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Per la nostra nuova rubrica, dedicata ad accogliere diversi spunti su tematiche di interesse attuale, abbiamo chiesto ad Elena Marcoz – da sempre appassionata di nutrizione, amante degli animali e della pratica sportiva (maestra di sci) e con un master di primo livello in Alimentazione e Nutrizione Vegetariana – di aiutarci ad approfondire il tema dell’alimentazione vegana. In questo secondo articolo si propone una riflessione sul prezzo degli alimenti, che spesso nascondono gravosi costi accessori. Per chi volesse approfondire, Elena gestisce un blog all’indirizzo: www.elenamarcoz.com .

Quando facciamo la spesa il prezzo è un indicatore che riesce ad influenzare molto le nostre decisioni di acquisto. Facilmente associamo ad un prezzo alto un prodotto di qualità, mentre un prezzo basso può risultare per noi interessante se su quel prodotto cerchiamo il risparmio.

Dove sta il problema? Nel fatto che molto spesso, soprattutto per i prodotti di origine animale (ma non solo), il consumatore non si rende conto che il prezzo che paga, al momento dell’acquisto, è solo una parte del prezzo complessivo.

Quando compriamo carne, uova, pesce e latticini, soprattutto se ad un prezzo irrisorio, di fatto stiamo sfruttando i “benefici” dell’allevamento intensivo, che consente di abbattere i costi per il cliente, risparmiando sul benessere animale. Costringendo un numero eccessivo di capi (che siano galline ovaiole, pesci, maiali o bovini non cambia) in spazi ristretti, eliminando gli animali non appena risultano meno produttivi, senza alcun investimento atto a consentire loro una vita il più possibile dignitosa e naturale, le aziende si garantiscono un abbattimento dei costi che riescono a trasmettere sul prezzo finale, riducendolo.

Ma il prezzo di questi “alimenti” è tutto fuorché basso. Semplicemente risulta pagato dall’acquirente solo in minima parte. Gli animali ne pagano una componente cospicua, costretti ad una vita di sofferenza e ad una fine crudele, con una macellazione che,  data la necessità di gestire i grandi numeri, ormai troppo spesso risulta inutilmente più lenta e dolorosa.

Quando beviamo il latte o mangiamo del formaggio ci dimentichiamo che il prezzo è stato pagato anche da una mamma a cui è stato strappato il vitellino (perché quel latte non sarebbe destinato a noi) e da un cucciolo privato delle cure e dell’affetto della sua mamma. Quando compriamo il pollo ad un prezzo ridicolo non pensiamo che, per offrirci un prezzo così basso, l’allevatore avrà selezionate una specie di broiler (il pollo da carne) in grado di crescere molto rapidamente, così rapidamente che le zampe di questi animali spesso non ne reggono il peso e si spezzano impedendo al pollo di muoversi, lasciandolo in agonia. Quando compriamo il prosciutto difficilmente immaginiamo quale sia la sua origine, spesso scrofe confinate in gabbie e private della possibilità di accudire i propri cuccioli. Questo è solo uno scorcio, il vero prezzo che pagano gli animali è davvero alto… Suggerisco una lettura che può aiutare ad aprire gli occhi: Tritacarne, di Giulia Innocenzi.

Ma non sono solo gli animali a pagare una quota importante del prezzo finale di molti prodotti. Una parte del prezzo la ribaltiamo sull’intera società. Sono molti gli studiosi che, analizzando le condizioni di vita degli animali negli allevamenti intensivi, già diversi anni fa hanno annunciato l’arrivo di una pandemia. “Se nulla importa”, il best seller di Jonathan Safran  Foer, e What the Health, documentario disponibile su Netflix, sono solo due esempi illustri che ci spiegano come sia semplicemente normale che negli allevamenti “moderni” si sviluppi antibiotico-resistenza e si creino le condizioni di vita ideali per il proliferare di virus e microorganismi, in attesa del tanto temuto quanto inevitabile salto di specie.

Anche i paesi meno avanzati contribuisco a pagare il prezzo dei prodotti animali che inseriamo nel carrello della spesa. Già nel 2002 FAO e OMS avevano evidenziato i costi degli allevamenti intensivi per la popolazione mondiale. Per produrre 1kg di carne servono 15kg di cereali e in Messico la metà dei cereali prodotti oggi è destinata al bestiame (spesso oggetto di esportazione), mentre la popolazione soffre di denutrizione. Nel 2025 si prevede che 2 miliardi di persone avranno difficoltà ad accedere all’acqua potabile… produrre cibo di origine animale consuma da 3 a 50 volte più acqua del cibo di origine vegetale  (Pimentel D., Houser J., Preiss E., White O., “Water Resources: Agriculture, the Environment, and Society”, Bioscience, February 1997 Vol. 47 No. 2.). I paesi economicamente più forti rischiano di esportare “acqua virtuale” sotto forma di carni o mangimi, da paesi la cui popolazione potrebbe non aver accesso a fonti idriche adeguate.

Infine una quota la buttiamo direttamente sulle spalle dei nostri figli / nipoti e delle generazioni a venire. There is no planet B. Il prezzo derivante dall’impatto che gli allevamenti determinano come inquinamento, surriscaldamento climatico, impoverimento dei mari, deforestazione, desertificazione, distruzione di interi ecosistemi, non lo paghiamo noi oggi al supermercato, ma lo lasciamo in eredità alle prossime generazioni, alla nostra famiglia di domani.

Questa è indubbiamente una disamina incompleta che evidenzia solo una quota dell’elevatissimo prezzo che imponiamo ad altri (animali, società, generazioni future) quando compriamo prodotti di origine animale… Spero possa essere una riflessione utile per spingerci a fare acquisti con maggiore consapevolezza e a valutare le ormai numerosissime alternative che il mercato offre, per una dieta più sostenibile, più salutare e più rispettosa!

Elena Marcoz