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Giornata nazionale del fiocchetto lilla – la storia di Chiara Sammaritani

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di Redazione

Ho 30 anni, e ho convissuto con i disturbi alimentari per 16 anni. Avevo 14 anni quando tutto è iniziato. Bulimia, Binge eating, Anoressia. Vomitavo anche 10 volte al giorno in alcuni periodi. Il mio peso oscillava, tra i limiti del basso e i 10 kg di sovrappeso. Ormai il chiudermi in bagno dopo ogni pasto ingerito era diventata la mia certezza, la mia sicurezza, un porto sicuro, l’unica costante in un mondo che mi riservava troppe sorprese e all’interno del quale mi sembrava di non riuscire a trovare il posto giusto per me, come se non esistesse.

Mi sentivo persa ad ogni invito a pranzo, ad ogni cena al ristorante, ad ogni merenda in compagnia, perchè sapevo che avrei dovuto rinunciare a quella pratica malata e ripetitiva che però mi faceva sentire al sicuro. La prima cosa da guardare quando si andava al ristorante era vedere dove fosse il bagno, in che condizioni, così che magari dopo essermi abbuffata di sushi io potessi fare una “tappa” per uscire dal locale sorridendo, e non arrabbiata con il mondo. Perchè si, mangiare ti rende arrabbiata, cattiva, intrattabile.

Non poter vomitare ti fa perdere il controllo. Più mangi, più ti senti in colpa. Ma non puoi farne a meno. E allora mangi (tutto quello che c’è nel frigo). Apri la porta del bagno. Ti pesi. Vomiti. Ti pesi (non hai smaltito abbastanza). Vomiti ancora (ovviamente i conati si contano, bisogna tenere “sotto controllo” anche quello. Solo numeri pari. Minimo 32). Ti pesi (ok…ora hai vomitato abbastanza). Così per 16 anni (qualche periodo un po di più…qualche periodo un po di meno). Le cose sono poi peggiorate un anno e mezzo fa. Un periodo in cui la mia vita mi aveva messo davanti a scelte che avevano reso instabile anche le uniche certezze che ero riuscita con fatica a costruire.

E allora eccola lì: l’anoressia. Mangiavo 8 biscotti: 4 a pranzo e 4 a cena (così anche il giorno di Natale o la sera di Capodanno…quando, dopo aver cucinato per tutti, mi sono seduta al tavolo con la mia tazza di tè caldo, tra gli sguardi indifferenti di persone che ad oggi nemmeno mi parlano più). Ricorderò sempre quel giorno di Marzo, 2020, durante una delle visite al Centro dei Disturbi Alimentari a Monza, quando la nutrizionista, l’endocrinologa e la psicologa mi hanno guardata e mi hanno detto che se avessi perso ancora mezzo kg avrei dovuto rimanere li, fissa. In quel momento ho capito che la mia era davvero una malattia, che dovevo iniziare a combatterla, che dovevo aggrapparmi alla vita, indipendentemente da chi ne avrebbe fatto parte, da chi avrebbe capito, da chi se ne sarebbe andato. Bisogna lottare per se stessi.

Nessuno può farlo per noi. Questo voglio sottolineare oggi. I disturbi alimentari sono una vera malattia, con un linguaggio specifico. Bisogna chiedere aiuto, farsi capire. Bisogna sensibilizzare le persone. Bisogna creare una cultura che non demonizzi semplicemente i DCA ma che istruisca la gente a riconoscerli, a conoscerli e ad aiutare chi, in silenzio vicino ad ogni di noi, soffre di questa malattia.

Chiara Sammaritani

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