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Tutti contro Planaz, tranne le genti di montagna. La difficile convivenza con i grandi predatori però rimane…

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di Giuseppe Manuel Cipollone

Chissà se il consigliere del Carroccio, Dino Planaz, avrebbe immaginato di scatenare una tale ridda di commenti e comunicati stampa sdeganati in merito alle sue affermazioni sul tema degli animali selvatici. Tutti in fila a fare le pulci: partiti, esponenti politici, da Aosta fino a Roma, contro le parole del “bruto”.

Che l’augurio di Planaz affinché l’incidente avvenga “fra un orso e un ambientalista” sia stato maldestro e sconclusionato non c’è dubbio, il concetto si poteva esprimere meglio. Ma che questo, al netto della politica, non sia anche sintomo di un sempre più grave malessere “des montagnards” nei confronti dei cittadini de “la Villa” è tutt’altro affare. Perché fra tutti gli accusatori morali di Planaz, state certi, non v’è il grosso di chi in montagna vive davvero, allevatori e non. E forse nemmeno solo fra chi vive su cucuzzoli altissimi visto che le cronache locali – di tutti i giornali – sono costellate di avvistamenti di lupi a quote bassisime e in centri fortemente antropizzati.

Il problema, dunque, è realissimo e molto sentito. Non è certo puntando il dito alla luna che lo si risolverà. Non lo risolverà nemmeno salendo in cattedra come il PD, che ci tiene a fare sofismi sulla distinzione fra la dizione scientifica di “canis lupus familiaris” e “canis lupus italicus”, quando l’unico lupo con il quale hanno avuto a che fare in vita loro è Lupo Alberto.

Il problema non lo si risolverà nemmeno contrapponendo delle ideologie uguali e contrarie, ma servirà una buona dose di equilibrio e pragmatismo. E allora una domanda sorge spontanea: se non sono le istituzioni a controllare, quanto ci vorrà prima che la gente di montagna farà giustizia da sé? Con tutti gli eccessi che, potenzialmente, potranno avvenire quando sarà la giustizia clandestina e fai da te a farla da padrona.

State certi che – se non provvederemo – la mattanza dei grandi predatori selvatici presto o tardi ci sarà. Perché lasciare correre la natura vuol dire ritornare “allo stato di natura”, in alcune zone più di altre. E lo Stato è nato proprio per uscire dalla condizione naturale, conoscere i rudimenti della filosofia politica non guasterebbe per chi prende decisioni.

Forse è veramente il caso di dare ai nostri forestali i giusti poteri affinché contemperino le esigenze di vita dei predatori selvatici con quelle di chi vive in montagna. E non perché facciano una carneficina, anzi. E’ necessario affinché la carneficina non arrivi davvero per esasperazione e incomprensione.

Giuseppe Manuel Cipollone