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No, Sig. Lavevaz, non è solo colpa dei “NoVax”…

di Redazione

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La Valle d’Aosta finisce in zona arancione, il contagio da Covid-19 rischia di essere fuori controllo se non lo è già. I numeri microscopici della nostra regione tendono a penalizzarci: “chez nous” basta davvero una famiglia in più o in meno contagiata per far scattare o no una fascia di rischio più elevata. Certo più che lamentarsene, forse, sarebbe bene far valere queste ragioni sui tavoli romani, però – è evidente – non è una partita semplice. 

Altrettanto evidente è, in ogni caso, che la categoria del “No Vax” sia diventata il capro espiatorio di tutti i mali di una sanità che invece patisce croniche mancanze da ben prima che la pandemia facesse il suo avvento. Specie in Valle d’Aosta. Il Covid non ha fatto altro che sbattercele in faccia – gettandoci in uno stato di emergenza perenne – con particolare forza. Sia chiaro: qui non si vuole affermare che il vaccino non sia utile, che coloro che si sono sottoposti alle iniezioni – compreso il sottoscritto – siano soggetti a contrarre il virus tanto quanto coloro che non lo hanno fatto o che le forme di Covid ingravescenti colpiscano tutti indistintamente. 

Qui si vuole semplicemente iniziare a mettere qualche puntino sulle “i”. Perché anche i No Vax hanno pagato le tasse e se è vero che si ammalano di più e tendenzialmente più gravemente, non è certo colpa loro se dopo due anni di pandemia – fino a prova contraria – gli sforzi per aumentare i posti in terapia intensiva latitano e bastano 7 persone dentro per finire in zona arancione senza passare dal via. Non è colpa dei No Vax se a due anni dall’inizio della pandemia, l’unico ospedale regionale – e sottolineo l’unico – venga utilizzato come una “fisarmonica”, aprendo e chiudendo reparti Covid di emergenza e sospendendone altri. Certo l’emergenza è emergenza, non tutto può essere fatto secondo i canoni dell’ordinario, su questo non ci piove. Ma dopo due anni – appunto – sarebbe il momento di iniziare a pensare in termini di convivenza con il virus, magari iniziando a ragionare sulla conversione di strutture ad hoc, non aspettare un inverno dopo l’altro per ricovertire in emergenza reparti strutturalmente non adatti alla cura di un virus tanto contagioso. 

Non è poi colpa dei No Vax se la medicina di prossimità negli anni è stata smantellata, riducendo i medici di famiglia – spesso – a dei passacarte, con un numero di pazienti assolutamente ingestibile se li immaginassimo come i primi soldati in linea del nostro sistema sanitario e non come dei burocrati. O se, malgrado i protocolli, ancora oggi non vi sia alcuna autentica chiarezza (purtroppo) sulle buone pratiche da somministrare ai pazienti a domicilio, proprio per evitare quanto più possibile che questi diventino pazienti critici. A chi vengono prescritti antibiotici random, a chi tachipirina e vigile attesa, a chi una preghiera. Solo a noi, che siamo un piccolissimo giornale di provincia, fioccano le segnalazioni e i racconti di questa estrema – e a tratti incomprensibile – difformità di assistenza.  Per i fortunati che la ricevono l’assistenza perché, non di rado, l’isolamento fiduciario diventa un abbandono nelle mani della Madonna.

Non sarà poi colpa dei No vax duri e puri se il grosso della prima campagna vaccinale, per la maggioranza che si è fidata della scienza, si è svolta – per motivi logistici – tra la primavera e l’estate scorsa, fasi in cui fisiologicamente il virus ha circolato meno. Ma se ci vacciniamo in massa a marzo, aprile, maggio, giugno, come pensiamo di arrivare “coperti” in inverno che a quanto pare  si sta rivelando la stagione più delicata? E allora il punto è che il vaccino è – e rimane – solo una profilassi non una cura: o dai il via alla campagna con i tempi giusti, oppure adesso che siamo in piena quarta ondata puoi anche smettere di parlarne in termini messianici. Il virus correrà e tornerà dormiente per forza più velocemente di te e noi ci troveremo di nuovo vaccinarci in massa quando l’ondata avrà fatto il suo corso e sguarniti per quella successiva. Non basterà cambiare amministrativamente la denominazione a chi si è fatto due dosi – fidandosi delle istituzioni – chiamandolo improvvisamente NoVax, o magari in futuro chi ne avrà tre, per cambiare le cose. Forse potrà servire ad alimentare una narrazione, a non far vedere che il Re è nudo, ma non certo a cambiare le cose. 

Persino la scienza, proprio quella di cui è necessario fidarsi – senza dimentare quante versioni ha cambiato nell’ultimo anno -, si sta predisponendo per dirci che del Covid non ci libereremo, dovremo adattarci, conviverci e imparare a gestirlo. Le stesse autorità sanitarie – ci dicono le cronache – sollevano forti dubbi sulla possibilità di continuare a vaccinare ogni pochi mesi milioni di persone, sia per motivi logistici che per motivi sanitari. Dunque il vaccino non sarà la soluzione definitiva, ma solo uno degli strumenti, da utilizzare meglio e con più oculatezza, insieme a molti altri, come lo sviluppo di cure affidabili, la riorganizzazione della medicina e dell’assistenza di prossità, la strutturazione di un sistema snello per applicare e revocare le quarantene senza far collassare puntualmente le PA. E, perché no, la previsione di strutture ad hoc per i casi di Covid già di media intensità che non gravino eccessivamente sull’Ospedale Parini. 

Ogni Paese ha la sua quota di non vaccinati, ogni Paese ci deve e ci dovrà convivere. Almeno finché non li si prenderà con la forza e li si porterà a vaccinare, il che – forse – sarebbe meno ipocrita di questo regime di induzione di massa in cui non è chiaro fino in fondo se stiano inducendo le somministrazioni di vaccino o la promozione dei Covid party . Ma se a tanto non ci si può, non ci si deve o non ci si vuole arrivare perché anche libertà ha un costo, allora è il momento di smetterla di nascondersi dietro un dito – Sig. Lavevaz – e domandarsi perché siamo di nuovo in emergenza nonostante la stragrande maggioranza della popolazione è vaccinata almeno con due dosi. Da qui insieme, tutti gli uomini di buona volontà, potranno ripartire per il bene della comunità.

Giuseppe Manuel Cipollone