Credetemi, per la prima volta da quando sono ad AostaNews24, ho avuto il dubbio se scrivere l’articolo che seguirà. Il dubbio che un tentativo di imbastire un discorso fondato su elementi di buon senso, che esca dal terreno nemmeno troppo latente dello “scontro” tra generi, potesse essere visto come un’offesa a tantissime donne è stato forte. Un’offesa alle tante che, a vario titolo, fanno parte della mia vita e a cui voglio molto bene o peggio alla memoria di chi ha finito la propria vita terrena sotto i colpi brutali di uomini che avevano amato.
Un dubbio che ha segnato i miei ultimi giorni, perché scrivere pubblicamente implica grande impegno, onori, oneri e responsabilità importanti che richiedono – in alcune circostanze – grande pacatezza. Ed è con questa pacatezza – che non sempre contraddistingue un giornale “frizzante” come AostaNews24 – che voglio affrontare un tema delicato come il femminicidio, offrendo alcuni spunti di riflessione per chi li vorrà cogliere. E per farlo è utile partire dai numeri, freddi ma necessari per soppesare questo fenomeno, l’esito estremo della violenza contro le donne.
Femminicidio: i numeri del 2023 in Italia
Cos’è il femminicidio? Per capire il significato di questo neologismo bisogna partire dalla definizione – di recente introduzione – di violenza di genere, che così recita: “qualsiasi forma di violenza esercitata in maniera sistematica sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione di genere e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico della donna in quanto tale, fino alla schiavitù o alla morte”.
Il femminicidio, va da sé, è l’omicidio di una donna, che sottende le premesse di cui sopra, l’uccisione di una donna in quanto tale. Una ridefinizione del concetto di violenza che implica delle categorie tipiche della sociologia, in particolare di derivazione post marxista, che sta modificando profondamente il sentire comune, i valori, il dibattito politico e non ultimo il diritto e la giurisprudenza italiana.
Vediamo insieme i numeri del fenomeno, partendo dal rendiconto più oggettivo disponibile: il bollettino sugli omicidi volontari – aggiornato al 20 novembre 2023 – redatto dal ‘Servizio Analisi Criminale’ della Polizia di Stato, reperibile sul sito del Ministero degli Interni.
Secondo il report, fino adesso, in Italia ci sono stati 295 omicidi. Di questi 106 sono stati commessi a danno di un individuo di genere femminile. Dal resoconto, poi, risulta impossibile stabilire con assoluta certezza il sesso dell’autore del gesto efferato, ma per regionevole deduzione daremo per assodato che siano tutti uomini. Una approssimazione che tale è, e tale rimane, vista anche l’esistenza di casi particolari, come gli infanticidi, nei quali le donne superano gli uomini nel triste primato.
Prendendo poi la componente di omicidi perpetrati contro le donne, dal report della Polizia si evincono altri due numeri di assoluto rilievo: sui 106 casi purtroppo avvenuti fino al 20 novembre scorso, 87 sono accaduti in ambito familiare/affettivo e 55 consumati da partner o ex partner.
E qui si apre una prima finestra di indeterminatezza, in quanto al momento indeterminato – in particolare a livello giurisprudenziale – rimane il concetto di femminicidio. Se prendiamo il concetto nella sua massima estesione possibile, forse ideologica, ma a tutti gli effetti veicolato dai media, tutti gli omicidi commessi da un uomo nei confronti di una donna potrebbero essere intesi come una sfumatura di un rapporto sociale di forza e una mentalità di matrice patriarcale. Pertanto, i potenziali femminicidi da inizio anno sarebbero tutti quanti, ben 106.
Altrettanto evidente però è che il femminicidio, così come oggi viene immaginato e percepito, mettendo da parte sociologia e politica, rimane un concetto pressoché coincidente con l’omicidio a sfondo passionale o in una chiave ancora più stringente e puntale (ma desueta) con l’uxoricidio, ovvero l’omicidio del proprio coniuge. In questo senso i femminicidi commessi nel 2023 sarebbero da rintracciare in quel sottoinsieme di 55 casi.
Un’indeterminatezza nella definizione di femminicidio che genera difficoltà, anche fra gli operatori di legge, nel trovare un nuovo perimetro condiviso. Emblematico è un video che sta circolando sui social, che riporta le parole del Prefetto di Padova Francesco Messina, in cui vengono riportati vari casi di omicidi contro una donna, ma che non avrebbero un movente passionale, di genere o patriarcale. Il caso di una donna uccisa durante una rapina – fa notare il Prefetto – può essere considerato un femminicidio? Oppure un fratello che ammazza la sorella per una lite su un’eredità? O ancora più significativo, il caso di un uomo che uccide la propria anziana moglie gravemente malata per un mal immaginato senso di “pietas”, per poi tentare il suicidio, può essere considerato un femminicidio? Secondo il Prefetto, dunque, i casi di femminicidio – ovvero a sfondo passionale e di genere – in Italia nel 2023 sarebbero stati 40. E ben inteso 40 di troppo, ma distante dai 106 omicidi totali.
Dal report si possono infine desumere altri 5 omicidi, nel 2023, commessi da partner o ex partner in cui le vittime sono uomini. Come in premessa, una deduzione ci farebbe pensare che si trattino di casi dove degli individui di sesso maschile siano stati ammazzati dal sesso opposto, ma non si possono escludere anche omicidi a sfondo passionale fra persone dello stesso sesso.
La violenza di genere: ruolo dei media e percezione fra la popolazione
La violenza di genere esiste, mettiamo un punto fermo. Ed è tanto più diffusa quando la si consideri non solo nella sua forma più estrema, ovvero il femminicidio o uxoricidio, ma nelle tante varianti carnali, domestiche e non con le quali si manifesta. I dati diffusi sulla violenza di genere in Valle d’Aosta dimostrano un aumento dei casi, ma come sottolineato nei recenti eventi di sensibilizzazione dalle autorità questo può essere anche indice di una maggiore propensione delle donne a denunciare.
Nel caso dei femminicidi i numeri del report di Polizia ci vengono di nuovo in soccorso e dimostrano un andamento, forse, inaspettato. Dalle grafiche sui crimini, infatti, si comprende che il numero di omicidi totali (a danno di ambo i sessi) ha avuto una breve impennata durante gli anni della pandemia, per poi tornare a livello pre Covid-19. Rispetto al 2022, alla data del 20 novembre, il numero di omicidi complessivi nel 2023 è lievemente aumentato, passando da 283 casi a 295 appunto.
In lieve diminuzione, nel 2023, invece sono gli omicidi delle donne, che passano da 109 su 283 a 106 su 295 casi. Un trend di poco in calo, ma che nel complesso può essere definitito stabile o non significativo, specie se si considera che gli omicidi commessi dagli ex o partner passano da 53 a 55.
Evidente dunque è stato l’impatto del caso di Giulia Cecchettin, il drammatico e brutale femminicidio appena avvenuto, che ha sollevato una forte reazione mediatica a fronte di un fenomeno sociale costante nei numeri o – se preso dal 2020 (68 casi) – persino in diminuzione.
E questo – è bene specificare – senza alcuna volontà di ridimensionare la gravità dei drammatici episodi, ma mantenendo il buon senso di affermare che una società a “violenza zero” nell’esperienza umana non è ancora esistita e se mai esisterà probabilmente non sarà più definibile società umana. Né, in questo senso, i Paesi che hanno legiferazioni ritenute più all’avanguardia della nostra si dimostrano meglio di noi.
Anzi in alcuni Paesi del Nord Europa è da tempo iniziato un dibattito di “ritorno” molto particolare, in cui ci si domanda circa gli effetti e l’opportunità di una estensione troppo ampia della normativa contro le molestie – in particolare quelle di minore entità, come il “catcalling” – che per paradosso sta incidendo sui dati aggregati di quelle nazioni: i Paesi che noi guardiamo come modelli virtuosi, almeno sulla carta, hanno spesso tassi di molestie più alti dei nostri. Difficile se non impossibile, dunque, segnare un confine del tutto empirico tra la legittima necessità e aspirazione al rispetto reciproco fra sessi e un’ossessione latente della caccia alla molestia che paradossalmente – se non governata dal buon senso – si potrebbe rivelare un boomerang.
Il colpevole designato: il “mito” del patriarcato
Come abbiamo visto i numeri dimostrano come la violenza a danno delle donne sia ben presente, in particolare nella sua forma più estrema rappresentata dal femminicidio. I media, gli opinionisti e di conseguenza l’opinione pubblica hanno trovato il colpevole: il patriarcato nella società occidentale.
Dando per assodato questo presupposto che si sta diffondendo, visti i numeri, dovremmo formulare le seguenti considerazioni. Nella nostra società patriarcale italiana:
- vengono ammazzati più uomini rispetto alle donne in un rapporto vicino a 2:1;
- dal punto di vista degli omicidi, le donne sono più vulnerabili all’interno dei nuclei familiari rispetto alle minacce rivolte da sconosciuti;
- metà e non tutti gli omicidi contro le donne proviene da un partner o ex tali, dimostrando come il movente passionale sia in proporzione la prima causa di morte violenta per le donne;
- i numeri dei femminicidi in Italia sono in linea – o molto più spesso inferiori – ai fatti analoghi in Paesi cosidetti avanzati con normative a tutela del genere femminile più estese.
E’ chiaro che il tema slitta, dall’analisi del fenomeno della violenza contro le donne, su un piano più eminentemente politico nel momento in cui le iniziative in memoria delle vittime assumono titoli e toni come “Caro patriarcato, siamo fuori controllo”, mobilitando volti vecchi e nuovi che – di sicuro – troveremo in prima linea alle prossime elezioni.
Resta lecito, dunque, immaginare cosa si intenda con “patriarcato”. Se come spesso accade il patriarcato è immaginato come una sorta di alleanza metastorica fra il genere maschile per tenere in scacco il genere femminile, in una chiave che ricalca il concetto di lotta di classe evidentemente marxiano, oppure il fenomeno sociale mutevole che ha attraversato realmente la Storia delle società umane. Un fenomeno che ha visto – in tempi e modi diversi – la strutturazione delle comunità intorno alle famiglie, guidate da capi famiglia, in un mondo in cui i rapporti di lavoro, economici e di sopravvivenza erano segnati dall’inelluttabile necessità dell’uso della forza fisica in assenza di tecnologie.
In una società auteticamente patriarcale a fronte di una violenza feroce come quella avvenuta a Giulia, o tante altre donne, è lecito pensare a come avrebbero reagito i padri e i parenti? Quale sarebbe stato l’esito, forse una faida che echeggia le storie scritte nei testi di Verga? In una società veramente patriarcale, normata da rigidi codici di costume, sarebbe tollerata la diffusione incontrollata di pornografia abnorme, degradante e a tratti mostruosa, per la maggior parte proprio sulla figura della donna che tanto incide sull’immaginario dei giovani?
O per citare fatti circa la violenza sulle donne che hanno segnato la cronaca d’Europa negli ultimi anni: capodanno di Colonia, 2016. Centinaia di molestie e stupri sulle ragazze di fronte ai propri fidanzati inermi e intimoriti, perpetrati da giovani extracomunitari in preda all’euforia. In una società patriarcale sarebbe mai avvenuta una cosa del genere senza che si scatenasse una guerra civile totale? I nostri nonni e bisnonni avrebbero permesso una cosa analoga?
No, è evidente che il patriarcato poco ha a che fare con la violenza sulle donne che si manifesta al giorno d’oggi. E questo non perché in passato non esistesse la violenza di genere, anzi tutt’altro. Probabilmente era più diffusa, ma quella che registriamo oggi ha probabilmente molte radici che puntano in direzioni molto diverse dal patriarcato e dal dominio degli uomini. Oggi si parla del patriarcato, additandolo, proprio come di un mito greco, di un tempo che fu e che non tornerà.
Invece bisognerebbe guardare ai rapidi e mutevoli rapporti fra sessi in un mondo segnato da uno sviluppo tecnologico mai visto prima, che genera nuove forme i violenza e nuovi stati psicologici di sofferenza. Additare il patriarcato – quando il patriarcato è morto con Dio Padre, direbbe Nietzsche – vuol dire ululare alla luna, confondere le acque, allontare le soluzioni e al massimo fare politica per tacite ragioni di consenso.
Il paradosso tutto italiano
E mentre le iniziative – molto spesso retoriche – contro la violenza sulle donne si moltiplicano, il rischio è che Filippo Turetta esca da questa vicenda giudiziaria con 16 anni di carcere. Qualcosa mi dice che fra meno di 20 anni lui sarà libero, anche grazie (ma non solo) ad una mentalità che parte su presupposti giusti, per poi essere distorta. Una mentalità, instillata nella società, secondo cui in fondo vittima e carnefice sono entrambi esseri umani equivalenti.
Una mentalità che ha degli autori, ben definiti. E ci mancherebbe non fosse così, siamo tutti esseri umani. Ma la vittima rimane la vittima e il carnefice è carnefice. Anche questi elementi di base, oggi non sono per nulla chiari.
Giuseppe Manuel Cipollone