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Conoscere la guerra ibrida contemporanea: presentato dal Milton Friedman Institute il manuale di Emanuel Pietrobon

“Il massimo trionfo non è vincere cento battaglie su cento ma bensì sottomettere il nemico senza combattere”, Sun Tzu cit. da L’Arte della guerra.

E’ stato presentato sabato 9 settembre ad Aosta il libro ‘L’arte della guerra ibrida. Teoria e prassi della destabilizzazione‘, scritto dall’analista geopolitico e consulente Emanuel Pietrobon ed edito da Castelvecchi.  L’evento, svoltosi nella piazzetta della Libreria Brivio Due, è stato organizzato dal ‘Milton Friedman Institute’ della Valle d’Aosta ed è stato moderato dal promotore Stefano Aggravi. 

L’input di scrivere questo libro  – esordisce Pietrobon – è arrivato dalla stessa casa editrice che ha molti lettori nell’ ambiente militare e, non a caso, questo libro è stato scritto come un vero e proprio manuale per gli addetti ai lavori. Però ho voluto anche renderlo leggibile alla gente comune perché se è vero che delle guerre ibride se ne occupano i militari, è altresì vero che le vittime siamo noi cittadini”

E così veniamo proiettati in una nuova realtà, in un nuovo concetto di guerra, che fino a non molto tempo fa era completamente sconosciuta ai più e cioè la “guerra ibrida”. Ma cos’è esattamente? 

La guerra ibrida prima di tutto non la combattono i soldati, non è gestita con i carri armati o con le armi convenzionali a cui siamo stati abituati. La tragica novità della guerra ibrida è che i soldati possiamo essere anche noi, può essere un influencer, un musicista, un giornalista, uno speculatore finanziario, un hacker. Le guerre ibride sono combattute con armi e con eserciti non convenzionali e hanno come obiettivo quello di colpire le società, non gli eserciti. Un esempio di guerra ibrida può essere un hacker che, comodamente da casa, preme due tasti e spegne il sistema di funzionamento di un ospedale. Non è fantasia, è successo in Italia durante la pandemia.

“Può anche essere un hacker che inserisce un virus all’interno di un software che sta per essere rubato da delle spie russe – dice l’autore. I russi inseriranno poi questo software all’interno del loro gasdotto e una volta che lo accenderanno questo scoppierà. E’ successo davvero nel 1982: l’esplosione del tratto siberiano del gasdotto transiberiano, una delle più terribili operazioni della CIA“

Una guerra ibrida è una guerra che quasi non percepiamo ma che in realtà può fare molti più danni di una guerra vera, perché ad una guerra ibrida può seguire spesso una guerra civile, un colpo di stato, una rivoluzione colorata pilotata da qualcuno. Spesso infatti le guerre ibride hanno come obiettivo  – come appunto il titolo del libro ci suggerisce la destabilizzazione. Non si parla quindi di conquista, di annessione ma di destabilizzazione, perché la guerra ibrida vuole sconfiggere l’avversario senza combatterlo. 

Ascoltando l’autore viene subito in mente l’idea che quasi non esista un rifugio sicuro in grado di proteggerci, non ci possa essere uno scudo in grado di schermare uno Stato da una minaccia totalizzante come appaiono le guerre ibride di oggi. “Ma attenzione!  – dice Pietrobon. Chi oggi cerca di influenzarci e manipolarci a nostra insaputa non è onnipotente: astuzia, caso, creatività, genio, inventiva e prudenza sono e saranno sempre i migliori amici di coloro che si ritrovano e si ritroveranno ad affrontare le guerre ibride”. 

Non esiste una sola forma guerra ibrida, ne esistono tante. Persino la gestione dei flussi migratori può essere una vera e propria guerra ibrida, non dichiarata certamente, ma “combattuta” con lo scopo di destabilizzare i governi. Le guerre ibride non sono tutte uguali per quanto possano somigliarsi, perché ogni stratega agisce secondo un proprio schema e il loro successo è legato alla strumentalizzazione delle caratteristiche culturali, economiche, geografiche, identitarie e sociali di uno Stato.

“Facciamo l’esempio di TikTok  – continua Pietrobon  – che è una grandissima operazione psicologica della Cina pensata per promuovere contenuti che hanno come scopo quella che viene spesso definita come liquefazione sociale e cioè l’atto di promuovere determinati contenuti per stordire un popolo, per addormentarlo, affinché poi al momento della guerra (vera e propria, ndr) non sia capace di combattere o magari non ne abbia più voglia. Prendiamo ad esempio quello che sta succedendo a Taiwan, dove si è deciso di bannare TikTok perché starebbe stordendo non soltanto la gioventù ma soprattutto avrebbe aumentato i sentimenti filo cinesi nella popolazione . Questa è guerra ibrida. La psicologia nella guerra ibrida è tutto. Non è un caso che moltissimi strateghi ibridi non siano militari ma provengano dal settore delle scienze sociali: psicologi, sociologi, antropologi, qualcuno che sia in grado di capire la mente delle persone”. 

La guerra ibrida aumenta lo spazio geometrico della guerra  – interviene Aggravi – e ognuno di noi potrebbe essere una vittima o un attore di una guerra che non è detto sia stata dichiarata. Tutto l’universo social oggi noi lo utilizziamo senza renderci conto che potrebbe essere una dimensione di una guerra. Oltre a TikTok dobbiamo preoccuparci di altri social network  e  – se sì – quali possono essere effettivamente i pericoli ?  

Noi dobbiamo preoccuparci di ogni social network – risponde Pietrobon  -. Questo è uno dei motivi per cui l’Unione Europea dovrebbe dotarsi di social network propri. TikTok è cinese e tutti gli altri come Facebook, Instagram, Whatsapp sono americani. Quando si parla di social network e social media si parla anche e soprattutto di big data, cioè dei grandi dati. E i dati  – che comunque rimangono sempre in rete – dicono tutto di noi. Tutto quello che è importante di noi si trova oggi sui social media ed esistono società che sono specializzate nel data mining. Questo significa cioè che queste società minano i nostri dati che vengono a loro volta rivenduti ad aziende che si occupano di comunicazione, anche politica, per manipolare ad esempio le elezioni. E’ una questione di psicologia. Esistono persone che ci conoscono molto di più di quanto non ci conoscano i nostri genitori  anche se noi non le abbiamo mai incontrate. Quella del data mining è un’arte nuova anche se le ricerche sul controllo mentale risalgono addirittura alla fine dell’800, primi del ‘900”. 

Quello che viene percepito leggendo il libro – aggiunge Aggravi  –  è che qualunque sia lo schermo normativo in difesa del singolo, in realtà scopriamo che basta un semplice gesto come l’utilizzo di un motore di ricerca e regaliamo a terzi una serie di informazioni che sono quasi più sensibili rispetto a quelle possono essere delle informazioni contenute all’interno di determinati registri.”

Le cosiddette guerre cognitive mirano a destabilizzare il cervello di un individuo forse per sempre – conclude l’autore -. Si tratta di stordire una persona facendole cambiare idea, la libertà di pensiero viene annichilita da operazioni psicologiche che hanno luogo sempre e comunque nei social, da TikTok a Facebook; siamo oggetti di un bombardamento 24/7 che a nostra insaputa plasma il nostro cervello. Alcuni psicologI hanno coniato un termine e cioè pensiero coerente disallineato, una guerra ibrida che potrebbe far cambiare idea alle persone sulla base dell’idea del momento”

Come possiamo difenderci da tutto questo?  – viene da chiedersi con una certa apprensione. 

Conoscere se stessi e il proprio nemico. Conoscere l’arte della guerra ibrida, che sempre più caratterizza la storia dei nostri tempi, consentirà di difendersi e di esercitare una vigilanza attiva, condivisa e sostenuta.

Lucia Vallesi

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