Gentile direttore Francesco De Santis,
negli elogi della carne sintetica, una è la parola di cui non noteremo mai l’assenza: etica. Ma l’etica non va utilizzata soltanto per motivare una scelta o giustificare una posizione, altrimenti è ipocrisia, non etica.
Se l’argomento viene affrontato sul piano etico, adducendo come motivazione l’eliminazione degli allevamenti intensivi e il minor consumo di suolo, lo stesso risultato può essere raggiunto con una soluzione molto più semplice e banale, senza necessità di bioreattori e laboratori: ridurre il consumo di carne.
Sono peraltro numerosi gli studi che consigliano un moderato consumo di carne, con particolare riferimento a quella rossa (“L’Harvard School of Medicine restringe il limite di consumo di carni rosse a porzioni non superiori a 110-115 grammi, al massimo due volte a settimana” -airc.it).
Inoltre, la percentuale di vegani e vegetariani in Italia – sopra l’8%, Eurispes – dimostra un’attenzione non trascurabile a questo tema anche nel nostro Paese. Una minore domanda consentirebbe, infatti, di avere allevamenti non intensivi oltre ad un prodotto di maggiore qualità, facendo venir meno la necessità di carne coltivata in laboratorio per uso alimentare.
La scelta di puntare sulla carne coltivata, più che dettata dall’etica, pare invece assecondare un consumismo e un’idea di crescita continua ancora tipica del positivismo ottocentesco: ma non viviamo in un’epoca post moderna?.
Per concludere questa breve riflessione direi che sarebbe opportuno comprendere se tale discussione legata alla carne sintEtica e ad altre forme di mercato alimentare non sia un capriccio ideologico occidentale, dato che sembra sempre più evidente come le nostre comode società vivano nella bolla del cosiddetto “miliardo d’oro”, quasi ignorando che esiste un resto del mondo – la stragrande maggioranza della popolazione – con ben altri “grilli” per la testa.
Rimango sempre più convinto che il mondo vada ben oltre la Silicon Valley.
Manuel Lavoyer